REI ASAKA:
"Saint-Just, l'arcangelo della morte": il
soprannome di Rei e tutti i significati in esso nascosti
turbano ed affascinano al tempo stesso l'ingenua
ma soprattutto disorientata Nanako
all'interno del labirintico Seiran.
E non solo il soprannome di Rei evoca atmosfere
tetre e tragiche: il suo nome stesso nasconde il significato di "spirito"
(Rei) fino ad arrivare ad un più appropriato "fantasma".
Tutto in Saint-Just evoca la morte,
dai suoi nomi fino al suo modo stesso di vestire:
sempre un abito da sera maschile, nero da capo
a piedi e tetramente elegante.
Quasi il vestito di un vampiro, che odia la
luce.
E difatti Rei non ama la luce: dentro il suo
spoglio appartamento è il buio a trionfare, le finestre
dalle tapparelle abbassate eternamente chiuse; e poi, le tenebre
della torre dell'orologio, chiusa agli sguardi di tutti.
Oltre al buio, altra dimensione
di Saint-Just è la solitudine: sin dalle medie,
come racconta Kaoru, "Rei era una ragazza molto eccentrica; se ne stava
sempre in disparte a leggere libri." Anche nel suo stesso appartamento
è da sola: raramente la va a trovare il fratellastro
Takashi; e, come se non bastasse, Saint-Just ricerca
costantemente la solitudine, arrivando persino a scuola a "rinchiudersi"
in un volontario esilio nella torre dell'orologio.
Come capirà Nanako dopo il suo suicidio,
"nessuno poteva entrare nella sua vita".
La dimensione di Rei fatta di
buio, solitudine si arricchisce di un terzo elemento:
una realtà di puro spirito, di contemplazione
e di immaginazione; una dimensione onirica su cui il suo pensiero
si libra veloce, una dimensione che forse rappresenta l'unica
realtà in cui si può dire che Rei realmente viva.
Il resto infatti per lei sembra non avere
nessun conto, "come se la realtà del mondo non le interessasse",
dice Kaoru, e lo dimostra anche il fatto che non si cura minimamente del
suo corpo: mangia saltuariamente e in modo scarno, rovina
la propria salute imbottendosi di pillole, psicofarmaci.
L'arcangelo della morte, il pallido fantasma, evoca, con i suoi nomi e il suo modo di apparire, un'atmosfera tetra sì, ma al tempo stesso richiama un'idea di grandiosità e di potenza al di sopra delle prospettive umane e materiali: "il suo non essere quasi umana", come afferma Kaoru.
Questo intreccio di grandioso ed, al tempo
stesso, lugubre apparire si mostra ancora più chiaro se poniamo
Rei di fronte a Kaoru.
Sono due mondi totalmente opposti: a Saint-Just
appartengono il nero, la luna, la passività, la più
alta e distaccata dimensione dello spirito, il disprezzo del corpo
e della materia; Kaoru al contrario richiama a sè la luce,
il sole, l'attività, la realtà materiale, presente
e vicina, l'attaccamento a questa e, conseguentemente, al corpo.
E proprio per questo, Rei è simbolo della
morte; Kaoru, della vita. E questa allegoria che
si nasconde dietro a questi personaggi
è consacrata proprio alla fine della loro vita: Rei si
getterà a braccia aperte verso la morte tanto desiderata suicidandosi;
Kaoru al contrario tenterà di resisterle fino alla fine.
E non solo; tutta questa
simbologia è esplicitata mirabilmente da Kaoru,
nelle parole rivolte a Nanako, subito
dopo la morte di Saint-Just: "Rei...poteva vivere se
solo ne avesse avuto voglia! Ma ha preferito credere solo nella
morte...ma io...voglio credere solo alla vita anche se di fronte
a me c'è solo la morte..."
Rei, morte; Kaoru, vita.
Ma la figura dell'Arcangelo, che evoca atmosfere
così grandiose, sacrali quasi, è in fondo
solo una labile apparenza: rimane sempre
ad accompagnare Rei un'atmosfera cupa, tetra, ossessiva, ma la grandiosità
del suo apparire, la suggestione dei suoi nomi
nascondono in fondo solo una personalità fragile e debole.
Le dimensioni di Rei sono il buio, la solitudine,
lo spirito: questa è la realtà in cui nessuno può
entrare.
Ma non è proprio così: c'è
una sola persona che può penetrare tutte le barriere
che Rei ha creato attorno a sè per fuggire la
realtà esterna, ed è Fukiko Ichinomiya, proprio come
capirà alla fine Nanako: "La persona che Saint-Just
ha amato sopra ogni cosa [..] L'unica persona che Saint-Just ha amato
fino a dimostrarle la sua fedeltà con la morte."
E ciò che dice Nanako è proprio vero: Rei assoggetta
tutta se stessa a Fukiko, la sua personalità è
totalmente incentrata e dipendente da quella della
sorella, al punto che tutto ciò che -di questo mondo-
le interessa è solo lei.
E' studiando il loro modo di rapportarsi
l'una all'altra che possiamo penetrare alle radici della fragilità
del carattere di Saint-Just: che cosa presente in Fukiko ha
così colpito Rei, al punto di spingerla a dedicare tutta
la sua vita solamente alla sorella? "Adoro il tuo essere orgogliosa,
adoro il fatto che non potresti sopravvivere al tuo orgoglio ferito, adoro
la tua fugacità e la tua intensità", così dirà
apertamente Saint-Just a Fukiko.
E' l'orgoglio di Lady Miya ciò che più colpisce
Rei; Saint-Just conosce l'orgoglio della sorella sin da quando la scorse,
undicenne, mentre "per non farsi vedere con lacrime d'umiliazione dalla
domestica, si alzò con decisione e strinse le labbra fieramente".
Saint-Just rispetta l'orgoglio di Lady
Miya: pensa che "la cosa più importante per lei
sia il suo orgoglio. Senza di esso non resterebbe niente
altro di lei". Lo rispetta fino al punto
di decidere di non rivelarle mai che anche lei è la
figlia dell'amante; lo rispetterà poi fino al punto
di andare a vivere da sola, per non ferire Fukiko, che
non sopporterebbe mai di accogliere sotto lo stesso tetto
la figlia dell'amante di suo padre.
Ma vivere da sola sicuramente
colpirà molto negativamente Rei e circondarsi
di specchi per avere, incosciamente, l'illusione di
non essere sola non le basterà; è difficile capire
quanto fossero radicati in lei il pessimismo e l'attrazione
per il nero e la morte: ma certamente la
richiesta di Fukiko a Saint-Just di morire assieme a lei e tutto quello
che è successo immmediatamente dopo di questa, forse non ha
dato inizio a questi due caratteri della personalità
di Rei, ma se non
altro li ha scatenati.
Perchè Fukiko ad un certo momento
ha questa idea di morte? E' molto chiaro: Lady
Miya ha in mente di uccidere Rei; non può
sopportare l'infamia di avere una sorella illegittima. Così
ferisce Rei al polso, decidendo di infrangere la promessa:
lei non si ucciderà, bensì assisterà allo
spettacolo della morte della sorellastra...Ma qualcosa
non va come previsto: Rei infatti
si risveglierà, con il polso fasciato, in ospedale, con a fianco
Fukiko.
Che cosa è successo? E' ovvio: ma solo
dopo il suicidio riuscito di Saint-Just sarà possibile
comprenderlo. "...Eppure ti volevo bene!", dirà
in lacrime Lady Miya, sola, non vista da nessuno. Fukiko non
era riuscita a completare il suo piano di
morte nei confronti di Rei proprio per
questo, perchè le voleva bene; così, sconvolta
da quanto stava facendo, l'aveva portata in un ospedale
per farle curare la profonda ferita.
E' in questo momento
che l'anima di Rei diventa completamente
prigioniera di Lady Miya: nella stanza d'ospedale, Rei decide di
andare a vivere da sola, per rispettare la volontà di Fukiko e sempre
per lo stesso motivo, decide di trasferirsi al Seiran.
Per quanto riguarda Lady Miya,
non è certo perchè desidera avere ai suoi
piedi un essere inferiore, come dirà poi a Rei,
che vuole che Saint-Just entri nella sua scuola. Sono tutte
scuse, bugie con cui Fukiko tenta di ingannare gli altri e
soprattutto se stessa: in verità lei vuole restare vicina
a Rei e la bambola e il braccialetto d'oro, camuffati sotto
la
maschera di pegno e di catena di eterna sottomissione
e schiavitù, in verità erano realmente
un gesto di affetto.
Ma Fukiko non può ammettere di amare una
persona di umili origini: per salvare il suo
orgoglio, perchè altrimenti senza
di esso non rimarrebbe altro di lei, tenta
di convincere se stessa che in realtà prova solo
commiserazione ed odio per la sorellastra. Odio al punto
che tenta sempre di umiliarla, di ferirla, di denigrarla. Ma Fukiko, in
quella stanza di ospedale, aveva detto a Rei che l'avrebbe amata lo
stesso, anche non vivendo sotto il medesimo tetto: di fronte
alle tante cattiverie di Lady Miya, Saint-Just è,
prima, disorientata per il contraddittorio comportamento della sorella
e, poi, frustrata ed infine annientata: probabilmente è in
questo momento che Rei arriva all'uso di psicofarmaci.
La vita di Saint-Just scorre tra
la speranza di ricevere un segno d'affetto da parte di
Fukiko e la conseguente delusione, poichè con lei Lady Miya
si mostrerà sempre meschina, a tratti anche crudele.
Ed è così che nasce un vero, continuo
oscillare in Saint-Just di due sentimenti contrastanti
quali l'odio e l'amore. Amore,
quando Saint-Just crede di poter ottenere finalmente di esser ricambiata
dalla sorella; odio, quando scopre in lei la spietata volontà di
ingannarla ed umiliarla ancora una volta.
E per sfogare questo odio Saint-Just si ritira nella torre dell'orologio
per tirare dei pugnali contro il cuore della silhouette di Lady Miya; ma
in fondo credo che Saint-Just non abbia mai veramente
odiato Fukiko, bensì l'amore e la dedizione in lei sono stati
sempre i sentimenti più forti.
Forse questo strano gioco di Rei
è simbolo del fatto che ancora in lei
il ricordo della promessa di Fukiko, la promessa
che sarebbe morta con lei, è ancora presente,
in modo ossessivo, tanto che, nel delirio, abbraccerà
Nanako, scambiandola per Lady Miya, e tenterà
di ucciderla per "mantenere la promessa".
Sicuramente, il cuore di Rei è "occupato
da Fukiko", totalmente.
Ma un'altra persona tenterà di
penetrare le barriere di Saint-Just e, sebbene non riuscirà,
sarà capace di fare almeno una piccola breccia: Nanako.
Ma perchè la dolce Nanako riesce, seppur in modo
minimo rispetto alla profondità del sentimento
di Saint-Just nei confronti di Fukiko, a sfiorare
il cuore di Rei? Nanako è attratta
dalla figura di Rei proprio per il suo "sguardo
lontano", per "la" sua "freddezza così triste",
per "il mozzicone di sigaretta, lo specchio malinconico,
la bambola solitaria". Saint-Just, noterà
Nanako, profuma di uomo: in un'opera che celebra il mondo
del Takarazuka, Rei in effetti "recita" una
parte maschile. Ma non solo: Nanako scoprirà che
il suo profumo è lo stesso di Takehiko poichè
tutti e due fumavano la stessa marca di sigarette... una
semplice coincidenza o simbolo del desiderio di Rei di
riuscire a far breccia nel cuore di
Lady Miya, tentando di assomigliare al giovane che, lei
sapeva, Fukiko amava?
Ma torniamo a Nanako...perchè
proprio lei riesce, seppur poco, ad entrare
nel cuore di Rei? Forse non è
per tutta la dedizione e l'affetto che Nanako mostra
nei confronti del solo e tenebroso arcangelo della morte, ma perchè
Nanako rassomiglia in modo straordinario alla bambola di Rei: Saint-Just
vuole un grandissimo bene alla sua bambola, "dormivo sempre con lei" dirà
a Nanako, e questo perchè la bambola le è stata
regalata da Fukiko e quindi per Saint-Just è
come una parte della sorella stessa.
E questo vale anche per l'inseparabile
bracciale.
Prima di suicidarsi Rei donerà
la bambolina a Nanako...è difficile capire cosa
si sia scatenato dentro Saint-Just, dopo aver ascoltato le
crudeli parole di Fukiko: "Credevi davvero che
io potessi amarti ed accettarti come mia sorella? [...] Avevo
bisogno di una persona che mi facesse sentire superiore!"
La più terribile delle bugie.
Quella che consegna Rei alle braccia della morte.
Saint-Just di nuovo ritorna
ad impasticcarsi, cosa che da tempo, probabilmente
per la benefica compagnia di Nanako, non faceva più.
Probabilmente capisce che tutto è inutile,
che Fukiko non starà mai con lei e non l'amerà mai.
Il suo volto è rassegnato. Probabilmente sente come non mai
il peso del segreto che custodisce da tanti anni.
Ne parlerà a Nanako. Ma tutto ciò non servirà.
Rei richiude di nuovo tutte le
barriere attorno a sè; la realtà di Fukiko,
unica cosa che la legava ancora al
mondo materiale, è distrutta o, perlomeno,
irraggiungibile.
Rimane solo quell'altra realtà, a lungo contemplata: la morte.
La mia impressione è che alla base del carattere di Rei manca un sano amor proprio; forse è cresciuta credendosi lo “scarto” dei suoi parenti. È un personaggio cupo ma non un vero “angelo della morte”, perché non porta la morte a nessuno. È buona con tutti, fuorché, appunto, con se stessa. Non è un carattere negativo perché indirizza il dolore del suo animo tormentato solo all’interno; fa male, fisicamente e spiritualmente, solo a se stessa.
Rei ha anche un forte istinto di protezione: permette a Fukiko di farle ogni male immaginabile senza protesta, ma reagisce contro di lei quando sta per fare del male a Nanako. Fa svenire Nanako costringendola a fumare, ma solo per convincerla a non cominciare con questo vizio. Conosce il segreto di Kaoru e l’aiuta come può. In fondo non porta morte a nessuno, ma vita; non sa amare se stessa ma è in cambio profondamente altruista.
Rei è un personaggio oscuro perché
non solo non vuole bene a se stessa, ma ha anche rinunciato a impararlo.
L’unica cosa che desidera è l’amore di Fukiko. Le due ragazze hanno
un disperato bisogno l’una dell’altra perché sono così differenti,
si attraggono come due poli opposti, ma l’orgoglio di Fukiko non le permette
di ammettere che vuole bene a Rei.
Rei vive soltanto aspettando la morte, perché crede a Fukiko
che le possa provare il suo affetto solo mantenendo la promessa di uccidersi
insieme a lei. L’unica cosa che la lega alla vita è l’amore per
Fukiko... non dubito però che sarebbe anche pronta a vivere per
lei, se Fukiko l’amasse.
L’odio di Fukiko verso Rei mi sembra dettato non
dall’orgoglio ma dall’invidia: anche lei, come tutti, si accorge che Rei
è più nobile e dignitosa di lei senza alcuno sforzo. Ma perché?
Perché lo è dal cuore e non perché lo vuole essere.
Il suo profondo amore per Fukiko controlla tutta la sua vita e la sua
sofferenza le ha insegnato la bontà. Lei, la presunta figlia illegittima,
ha tanto riguardo verso la ragazza che continua a ferirla e umiliarla da
non dirle mai la verità che conosce, cioè che sono illegittime
entrambe. Fukiko, viziata e vanitosa, non è capace di tanto abbandono.
Vive unicamente per se stessa al punto di soffocarsi, mentre Rei va incontro
alla morte perché senza Fukiko letteralmente non sa respirare.
Solo alla morte di Rei Fukiko conosce la vera dignità ammettendo finalmente di averle sempre voluto bene: capisce ora che la vera dignità non è fatta di cocciuto orgoglio, ma viene dal cuore.
La redattrice di questo commento è "Arianna",
che ringrazio per il suo contributo.
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